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Nell’azienda di Roberto e Emma Di Filippo, in Umbria, si seguono i principi dell’agricoltura biodinamica. Grazie alle oche si evita l’utilizzo di diserbanti chimici, si risparmia sul carburante dei trattori e si mantengono elevati i livelli di fertilità del terreno dove crescono le viti.
Mangeresti un prodotto della terra che prima di arrivare sulla tua tavola è stato letteralmente innaffiato con erbicidi, pesticidi e altre sostanze chimiche? Probabilmente preferisti un’alternativa più “naturale”. Noi consumatori siamo diventati (giustamente) più esigenti e il business del biologico in Italia è in crescita. Alla fine del 2018, secondo le stime del Sinab (Sistema d’Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica), i terreni destinati all’agricoltura biologica sul territorio nazionale erano pari quasi a 2 milioni di ettari. Un numero destinato a salire. È nata così – in realtà il fenomeno è in atto già da parecchi anni – l’esigenza di trovare dei metodi agronomici, sostenibili sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista economico, che siano in grado di garantire prodotti più sani e genuini.
Roberto ed Emma Di Filippo, fratello e sorella rispettivamente di 53 anni e 50 anni, hanno sperimentato un metodo assai originale per evitare i trattamenti chimici e preservare la fertilità dei terreni della loro azienda agricola a Cannara, in provincia di Perugia, (circa 35 ettari): la Cantina Di Filippo. Il controllo delle erbe infestanti di una parte dei terreni della loro tenuta è infatti affidata a 400 oche. Hai capito bene. I palmipedi sono liberi di girare tra i filari, mangiano l’erba e allo stesso tempo concimano il terreno, migliorando la qualità della sostanza organica e potenziando l’attività microbica del suolo. Si crea quindi una vera e propria sinergia tra la vite e l’oca. Risultato? Niente più trattori e niente più diserbanti chimici.
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“La sensibilità per le tecniche agronomiche ecosostenibili è iniziata già con la scelta del biologico nel 1994 (venticinque anni fa), quando ancora non si parlava di biologico. E infatti siamo stati una delle aziende pioniere in Umbria in questo senso” – racconta Emma Di Filippo – “avevamo notato che l’utilizzo dei mezzi pesanti, dei trattori per intenderci, con la compressione del terreno ne riduceva la fertilità. Ci siamo allora avvicinati alla filosofia dei trattamenti biodinamici. Ancora prima delle oche abbiamo cominciato a utilizzare i cavalli per la lavorazione dei terreni. Poi l’idea di usare le oche al posto del diserbante è venuta circa sette anni fa, dopo esserci confrontati con un nostro amico agronomo, Adolfo Rosati, che aveva fatto delle ricerche sulla sinergia tra olivo e pollo“.
E così è partito quello che tecnicamente è un progetto di agroforestazione, o agroforestry se preferisci la versione inglese, un modello di agricoltura in cui vegetali e animali convivono perfettamente in armonia. La scelta dell’oca è stata valutata anche insieme al Dipartimento di scienze agrarie, alimentari ed ambientali dell’Università degli Studi di Perugia che ha seguito il progetto e con una serie di ricerche ha verificato l’efficacia di questo sistema e la sua sostenibilità.
“In realtà non ci siamo inventati niente. C’è un video risalente agli anni Quaranta, disponibile anche in rete, in cui si vede un agricoltore statunitense che lascia scorrazzare in mezzo alle piantagioni di cotone un gruppo di oche. Si tratta in fondo di una pratica antica, quella di integrare animali e colture“.
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I benefici di questa tecnica non sono pochi. Innanzitutto, per quanto riguarda il lato ecosostenibilità, il fatto di non usare trattori consente un notevole risparmio di carburante e si evita quindi di emettere anidride carbonica. I livelli di fertilità dei terreni coltivati con questo sistema risultano più elevati, la qualità delle uve migliore. E perfino le carni delle oche, allevate in mezzo ai vigneti e secondo criteri rigorosamente bio, hanno un sapore migliore, sono più ricche di principi nutritivi e non presentano antibiotico-resistenza. E per quanto riguarda invece il vino? Che cos’ha di speciale rispetto a quello che troviamo di consueto sugli scaffali del supermercato?
“La distinzione tra vini naturali, biodinamici e convenzionali riguarda il discorso salubrità, ma anche le caratteristiche organolettiche. I vini da agricoltura biodinamica hanno una personalità un po’ più complessa rispetto a quelli tradizionali. I vini biodinamici di oggi, soprattutto in Italia, devono però ancora superare quella fase in cui dietro alla parola naturale o biologico si giustifica tutta una serie di difetti del vino che ormai siamo abituati a non trovare più. Insomma a volte certi vini naturali non sono proprio gradevoli da bere. Bisogna allora essere bravi a produrre con un metodo naturale ma garantendo anche una qualità di un certo livello“.
E qui entra in gioco un altro aspetto fondamentale, che è quello riguardante la comunicazione, la capacità di saper raccontare il territorio ma anche la filosofia che sta dietro alla lavorazione di un prodotto della terra. Se delle piccole-medie aziende agricole in Italia riescono a sopravvivere è perché si sono costruite una reputazione nel tempo e possono contare su una clientela fidelizzata, anche di provenienza estera, che non ha dubbi sulla loro professionalità e sulla qualità dei prodotti che offrono.
“Mi piace dire sempre che noi agricoltori abbiamo una grande responsabilità a livello culturale, che è quella di rendere il consumatore consapevole delle sue scelte di acquisto, permettendogli di riconoscere qual è un prodotto di qualità e più salutare quale no“.